«La vera santità è fare la volontà di Dio con il sorriso sulle labbra».  È quanto Santa Teresa di Calcutta diceva alle sue consorelle quando le esortava a «gettare in Dio ogni affanno» (salmo 54); caro don Antonio leggo in queste parole il tuo volto, poiché da quando ti ho visto per la prima volta, con la tua vita non hai fatto altro che testimoniare che la santità non è un onere affidato a qualche eletto, ma la più ovvia risposta al Suo amore, la vocazione di ogni Cristiano, la cui bellezza sta proprio dietro la sua difficile attuazione. Tanti sono i ricordi che conservo del rapporto tra me e don Antonio e tanta è la difficoltà a sintetizzarli per renderli fruibili.  L’ho conosciuto in tenera età e ricordo ancora con commozione  quando varcai per la prima volta la soglia di ingresso del seminario, quando prima della preghiera mi fissò e mi abbraccio, dandomi il benvenuto in qualità di padre della comunità; così come i tanti colloqui che ho avuto con lui e le tante uscite condivise, quando cercava di smorzare le stanchezze che magari potevano affliggere il mio animo e quello di altri seminaristi: tutti momenti di grande letizia e di condivisone, attraverso i quali il Signore cercava di legare i nostri nomi al Suo.  Era questo, infatti, il segno  distintivo del suo sacerdozio: farsi padre! Cercando di condividere con i propri figli le povertà  evangeliche che un seminarista e un prete scelgono  al fine di seguire radicalmente Cristo per essere libero di servire i fratelli. Ho ancora un ricordo vivo delle lacrime che mi ha asciugato ogni qualvolta si presentava uno scoglio da superare e con grande tenacia e paternità non si è mai tirato indietro, esortandomi a continuare e vincere le difficoltà. Sapeva prendere su di sé i miei problemi, le miei gioie, cercando di attivarsi e con la preghiera e con la sua vita. Ogni volta che uscivo dalla sua stanza, dopo aver concluso dei colloqui, mi rendevo conto che in fin dei conti erano più le cose che ci univano che quelle che ci dividevano, poiché anche lui combatteva la propria battaglia contro la sua malattia, compagna di viaggio del suo rettorato, per cui si instaurava una comunione di preghiera molto intensa, perché entrambi avremmo potuto santificare la quotidianità. Nonostante il peso delle sue sofferenze, aveva la capacità di farmi innamorare del Vangelo con il suo sorriso e con la sua voglia di amare:« ottimismo», oppure, «sorridi che la vita di sorride »erano le  frasi che mi ripeteva quando ero triste. Da qui deriva l’altro distintivo del suo rettorato: l’autorità! Don Antonio è stata una persona autorevole, poiché come il Maestro, era capace di saper professare con la bocca ciò che lui attuava con la propria vita; ciò è stato il segreto della fiducia e della stima che ho nutrito nei suoi confronti. Don Antonio, inoltre,  è stato per me un valido insegnante anche per ciò che concerne la mia formazione accademica, poiché mi ha sempre incitato a studiare, facendomi scoprire l’enorme  importanza della formazione intellettuale vista in una prospettiva di donazione. Inoltre, mi ha aiutato a scoprire il valore inestimabile dell’annuncio Evangelico e della pastorale; ripeteva spesso che uno dei criteri attraverso cui discerneva la volontà di Dio su di noi era appunto lo zelo pastorale con cui ci impegnavamo nelle nostre comunità a diffondere la Buona Notizia.
Cercando di racchiudere con parole conclusive, ciò che è stato per me don Antonio, direi che è stato educatore, padre ed amico.

 

 

«Hey! Come stai?» e dopo averti scrutato con gli occhi, ecco che arrivavano due, tre schiaffetti (si fa per dire!) sulla spalla. È cosi che ricordo padre Antonio: un uomo che ti osservava per comprendere la tua situazione e consolarti, là dove c’era qualche problema, oppure scherzare con te per trascorre qualche momento di gioia insieme.

 

Posso dire di aver conosciuto e compreso il suo ministero di pastore, non nei colloqui tra rettore e seminarista, ma attraverso la sua testimonianza nella quotidianità del seminario.

 

Come pastore del seminario egli era una guida, uno che apriva la strada, che fissava le tappe, che si preoccupava di tutte le pecore del gregge, in grado di dare direttive, di incoraggiare…

 

Uomo di relazioni significative, era capace di reali condivisioni, di accoglienza, di gesti cordiali, di paterni consigli, di formativi rimproveri, di segni di comunione.

 

Si preoccupava di condividere i segni della tenerezza, della consolazione, del perdono del Regno che rendono infinitamente apprezzabile la comunione e la presenza della chiesa, trasmettendoci cosi un’attenta e passionale cura per la pastorale.

 

Don Antonio s’impegnava in modo incondizionato per il vangelo: viveva profondamente nella fede attraverso la carità pastorale, nel servizio e nella preoccupazione per la fede di chi era affidato (e non solo!). Donava la sua intera persona e coinvolgeva anche tutti quelli che gli erano attorno facendone di questi ultimi protagonisti del progetto di Dio. Cercava sempre modi nuovi per conformarci noi “più piccoli” alla persona di Gesù.

 

Inoltre, non posso non testimoniare le sue omelie oppure i suoi incontri di formazione. Non si accontentava di riesumare vecchie conoscenze oppure di informazioni clandestine, ma si applicava, invece, con rigore e con onestà nella fatica del comprendere e del comunicare nozioni per nulla superflue e scontate.

 

Padre Antonio, come chiunque altro prete che decide di vivere il Vangelo, credendo in esso, conobbe inevitabilmente prove, fatiche tentazioni, ma coltivava un senso cosi profondo di fiducia nel Signore che sapeva interpretarle come terreno fecondo per la sua conversione. La sua malattia ne fu una prova per mettersi in discussione umanamente e spiritualmente, ma proprio in quel momento poté sentire ancor di più la presenza viva e forte del Signore.

 

Concludo dicendo che don Antonio è stato un instancabile e frenetico uomo di Dio, ministro della Chiesa di Napoli e testimone del Vangelo. A lui dobbiamo avere sempre una grande riconoscenza sia come singoli, per ciò che ha operato in noi, e sia come chiesa di Napoli.

 

 

Ho avuto la benedizione di vivere tutto il mio tempo di seminario sotto il rettorato di mons. Antonio Serra. Proverò a descrivere, attraverso l’esperienza di seminario da me vissuta, ciò che stava più a cuore al rettore.

 

Padre Antonio accolse la mia classe all’anno previo con una lettera con la quale provava a presentare il suo modo di vedere il seminario, un tempo di preparazione per la partita della vita. Lui sarebbe stato il nostro allenatore, pronto a sostenerci da bordo campo, a fare il tifo per noi, come gli piaceva ripetere, ma la partita l’avremmo dovuta giocare noi, in campo dovevamo avere il coraggio di scendere personalmente. Queste poche righe ci danno già un’idea del prete che aveva in mente di formare padre Antonio, capace di sostenere chiunque perché ciascuno potesse giocare pienamente la sua vita dove Dio desiderava. Era l’anno 2007/08 ed il testimone per tutti i seminaristi scelto dal rettore fu don Pino Puglisi, un parroco capace di stare accanto a tutti, anche quando sembrava non possibile, fino a dare la vita.

 

Il primo anno di rettorato è stato per padre Antonio un anno di osservazione e di entusiasmo nel quale ha saputo conoscere il seminario ed i suoi seminaristi per poter meglio adoperarsi nel rispondere alle nostre esigenze. Così già nella stagione 2008/09, nonostante la prima manifestazione della malattia, sono iniziati i lavori in seminario, per rendere più bella ed accogliente la nostra casa. La ristrutturazione del seminario era lo specchio del lavoro personale richiesto a ciascun seminarista dal rettore, quell’anno come testimone per tutti fu scelto monsignor Giovanni Bandino, ex rettore del seminario di Napoli, prete capace di farsi accanto alla gente. Era questa la dote che padre Antonio chiedeva a ciascuno di noi, la capacità di accogliere sempre con lealtà e carità. Quell’anno padre Antonio parlò del seminario come una serra, luogo dove poter coltivare ed aver cura dei germi di vocazione che poi sbocceranno nel campo della Chiesa.

 

Arriviamo così alla stagione 2009/10, il percorso in seminario procedeva bene ma si evidenziavano alcuni aspetti su cui dover aggiustare il tiro. Non potevamo come futuri pastori permetterci dissidi o carrierismi vari nella nostra comunità. Padre Antonio se ne rese subito conto e per questo pensò a don Primo Mazzolari come testimone dell’anno, uomo capace di aver sempre chiara la sua meta e di servirla nell’obbedienza al dovere del momento. È stato a livello personale un anno fondamentale, padre Antonio seppe aiutarmi tanto a curare i particolare nelle relazioni e nello svolgimento dei miei compiti, certo che il regno di Dio si costruisce un passo possibile alla volta, lasciandosi guidare dallo Spirito. E tutto questo non puoi farlo da solo, ma insieme. Per questo scelse l’immagine della cordata durante la scalata per esprimere il come dovevamo vivere il seminario, perché la cordata ti insegna l’appartenenza, ti educa al lavoro fecondo e silenzioso, ti allena alla fatica della salita, ti fa praticare la fiducia, ti fa condividere la gioia per il traguardo raggiunto.

 

L’anno 2010/11 è stato per me il più duro. A settembre ricevetti un intervento al cuore e ciò non mi permise di vivere l’inizio del seminario. Padre Antonio veniva a trovarmi a casa continuamente, raccontandomi del seminario e aiutandomi a sentirmi sempre parte della comunità. Sotto la testimonianza di don Lorenzo Milani fummo chiamati ad un impegno più serio verso i più poveri, stava a cuore a padre Antonio soprattutto che tutti noi crescessimo nella capacità di guardare alle ingiustizie sociali, per dare risposte concrete alla gente bisognosa di tanto, non poteva esserci un prete con una mentalità borghese. È stato l’anno del rinnovo dell’equipe di formazione e con i nuovi animatori il rettore volle ancora di più imprimere il suo stile educativo su tutto il seminario, nascevano i laboratori sull’oratorio e sul primo annuncio.

 

Sempre attento al soffio dello Spirito, padre Antonio intanto coniugava bene gli impegni del seminario con la vita parrocchiale e diocesana. Come seminaristi fummo impegnati molto per il giubileo straordinario di Napoli, era l’anno 2011/12. Un ex cardinale della nostra diocesi, Sisto Riario Sforza, fu scelto come testimone per tutti noi e attraverso la contemplazione e il vivere concreto delle opere di misericordia venimmo invitati a prendere coscienza che un prete è sempre pastore di un popolo e che a quel popolo deve dar conto. Padre Antonio raccontava di quel periodo come un tempo di grazia per la comunità del seminario che visse un forte incremento nel numero dei seminaristi grazie soprattutto all’accoglienza di tanti ragazzi da altre diocesi campane.

 

Sara l’anno successivo, il 2012/13, forse quello della maturità piena come rettore di padre Antonio. A 50 anni dal Concilio Vaticano II e con papa Paolo VI come testimone fu scelto come motto: “generosità piena nel dono in perfetta libertà”. In queste poche parole è forse raccolta tutta la sapienza che padre Antonio seppe donarci. Ci ripeteva continuamente: “siate persone normali”, perché capaci di accettare se stessi per donarsi completamente, perché capaci di autocontrollo, senza inibizioni ne selettività, custodi fedeli della dottrina ma con sguardo profetico, proiettati verso l’altro, in ascolto delle sue esigenze. Dalla lettera ai seminaristi di quell’anno ricordiamo: “sii compagno di viaggio di ciascuno, uomo che non si appartiene, che vive e muore per gli altri: non finire mai di dire il tuo Si”.

 

Queste parole ci accompagnano nel 2013/14, ultimo anno di rettorato di padre Antonio. Ultimo testimone per noi seminaristi fu il papa santo Giovanni Paolo II. La lettera ricevuta ad inizio anno è commovente, nel senso pieno della parola, capace cioè di muoverti verso l’obiettivo comune. Padre Antonio ci parla della sua malattia e del suo percorso spirituale di affidamento al Signore, la sintesi che lui stesso scrive è un po’ il suo testamento spirituale per noi suoi seminaristi, oggi preti della sua stessa Chiesa di Napoli:

 

“Ho compreso che anche i migliori propositi, i progetti più ardui devono rientrare nel circuito della volontà di Dio: dobbiamo invocare la grazia di accettare ciò che Lui dispone per la nostra vita, per la sua Chiesa, senza recriminare nulla per noi stessi, senza rinunciare alle nostre buone disposizioni e ai grandi ideali, senza mai arrenderci né abbatterci. Tutto può servire per la nostra santificazione: dalle grandi prove possiamo sperare di uscire, con il suo aiuto, persone migliori”.