BIOGRAFIA

 

Antonio Serra nasce a Torre del Greco, vicino Napoli, il 24 settembre 1967 e cresce all'ombra del campanile della Chiesa di Maria SS. della Salute in Portici. Come affermerà, raccontando la storia della sua vocazione sacerdotale, la chiesa rappresenta per lui, già da bambino, il luogo, misterioso ed esaltante, dove è possibile esperire l’incontro con il sacro. Si educa alla preghiera, all’attenzione verso il prossimo, all’amore per il bello, come segno della Bellezza di Dio e del Creato, che cercherà infatti di far crescere intorno a sé, nei contesti in cui sarà chiamato a operare, con rara sensibilità e finezza.

 

Sin da ragazzo, si distingue per la sua semplicità, per l’immediatezza e la capacità di trasmettere a chiunque, anche soltanto con una parola, una sensazione di profonda familiarità, facendo sentire amata e unica ogni persona che gli si avvicini, dai più piccoli agli adulti, fino agli anziani. Al centro delle sue cure sono soprattutto i deboli, gli esclusi, gli ultimi, tutti coloro che hanno bisogno di riscatto alla luce dell’amore cristiano.

 

  Dopo aver manifestato, in famiglia e nella comunità, l’intenzione di indirizzarsi alla vita sacerdotale, entra in seminario a 19 anni e compie il suo percorso accademico presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli, sezione San Tommaso D'Aquino. Dopo il Baccalaureato, prosegue gli studi teologici, conseguendo nel 1994 la Licenza in Pastorale Giovanile e Catechetica presso la Pontificia Università Salesiana di Roma.

 

Il 10 maggio 1992, all'età di 25 anni, viene ordinato sacerdote e assegnato, come viceparroco, alla Chiesa Immacolata Concezione a Portici. Instancabile nell’impegno e nella programmazione pastorale, avvicina bambini, giovani e meno giovani alla vita della comunità parrocchiale, mettendo in pratica la sua idea di “essere prete nel nostro tempo”, vale a dire in un tempo di identità deboli e incerte, ponendosi a servizio degli uomini come uomo dello Spirito, per orientarli verso il Vangelo. Secondo le sue parole, il sacerdote “è tenuto a fare soltanto ciò di cui è capace e fin dove può farlo correttamente, in modo cioè credibile, gioioso, nella dedizione a Gesù Cristo e nel servizio fedele alla comunità.”. Un prete “normale”, come giustamente verrà definito, diverso dai modelli del prete del tempio o della strada, di campagna o intellettuale, ma appunto con l’eroismo quotidiano della normalità.

 

Dal 1994 al 1998 svolge anche il servizio di animatore presso il Seminario Maggiore Alessio Ascalesi di Napoli. Ricopre altri incarichi di rilievo: dal 1994 al 2007 è vicedirettore dell'Ufficio Catechistico diocesano e dal 2000 al 2007 è Delegato regionale per la catechesi e membro della Consulta dell'Ufficio Catechistico Nazionale. In questa veste, pubblica diversi articoli su riviste specializzate e tiene numerose conferenze e incontri di formazione rivolti agli operatori pastorali e al clero di differenti diocesi, campane e non. Nel 1998 inaugura la sua attività d'insegnamento presso la Facoltà Teologica di Napoli.

 

Dal 1998 al 2007 è parroco a Portici, nella Chiesa dell’Immacolata Concezione. Durante questa esperienza di pastore, sostiene e accompagna la nascita di molte vocazioni e lavora per trasformare la comunità parrocchiale in una “palestra della fede”. In questi anni, con caparbietà e tenacia, oltre che per il restauro della chiesa, si adopera per la realizzazione di un parco pubblico intitolato a Giovanni Paolo II. Ancora oggi questo luogo costituisce un’oasi di relazione, di pace, di serenità, di dialogo e d’incontro per l’intero quartiere.

 

Nel 2004, discutendo la tesi Il catechismo parrocchiale a Napoli (1928-1940), consegue il Dottorato in Teologia Pastorale presso la Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale. Il primo luglio 2007, a soli quarant'anni, viene nominato Rettore del Seminario Arcivescovile di Napoli, gravoso incarico che ricoprirà sino al giugno del 2014, dando ulteriore prova della sua vocazione educativa. Durante la sua direzione, il Seminario diviene una struttura osmotica rispetto a quel mondo esterno con il quale i futuri sacerdoti saranno chiamati a confrontarsi, fondando la scommessa educativa nel solco della libertà e della responsabilità, con tutte le opportunità e i rischi che tale scelta comportava. Si applica, come padre attento e sollecito, a guidare verso l’accertamento sincero della vocazione, a dirimere dubbi e incertezze, a perdonare e a incoraggiare. Tra l’altro, lavora per stilare e introdurre il progetto formativo Sulla tua parola getterò le reti. Al termine di tale esperienza, nel giugno del 2014 pubblica il testo di teologia pastorale Andate e annunciate, per i tipi della casa editrice Passione Educativa di Benevento.

 

Tenacia e impegno non vengono meno neanche negli anni della lunga e logorante malattia, nel frattempo sopraggiunta: dal letto della sofferenza impartisce, anzi, la sua più alta e più difficile lezione. Con profonda umiltà, darà testimonianza della sua personale esperienza, come exemplum per quanti hanno conosciuto la strada del dolore, confessando lo smarrimento iniziale di fronte alla sua nuova condizione di precarietà, ma indicando, al tempo stesso, il percorso che lo aveva condotto a trasformare il timore e il profondo disagio prodotto dalle limitazioni della malattia addirittura in gioia e in libertà, con fiducioso e filiale abbandono alla Vergine Maria. E proprio verso la Madonna, simbolicamente sempre presente nelle intitolazioni delle sue parrocchie, padre Antonio riserverà una speciale devozione, come mirabile tramite tra l’Umano, nella sua forma più nobile, e il Divino.

 

  Senza arrestarsi davanti ai problemi e agli ostacoli, anzi assumendoli come pungolo per il suo ministero di sacerdote, educatore e docente, e senza tenere conto delle cautele che gli avrebbe imposto la sua salute, don Antonio accetta, nel luglio 2014, la guida della popolosa parrocchia di Santa Maria Apparente a Napoli nell’intento di servire con obbedienza, ancora una volta, la Chiesa di Napoli. Si tratta di una ennesima prova, dopo anni trascorsi all’interno nel seminario e dediti alla formazione dei “pescatori di uomini”, che lo porta a contatto con la gente, con i concreti problemi delle famiglie, con una realtà urbana e sociale variegata e talvolta complessa. Anche in questa comunità, per lui del tutto nuova, sa costruire da subito relazioni significative, manifestando il suo eccezionale carisma che, insieme a un forte spirito di accoglienza, riavvicina tanti, soprattutto giovani, riconducendoli sulla strada del Signore: ognuno si sente accolto, ascoltato, sostenuto. Grazie alla sua inesauribile energia e forza di volontà nascono molteplici attività; sui muri della parrocchia fa dipingere alcune frasi dove le parole “comunione” e “condivisione” sono i pilastri su cui fondare la sua idea di parrocchia o meglio, secondo una sua espressione, la “parrocchia che ho nel cuore.

 

Nella predicazione affronta, in maniera colta e coinvolgente, temi di grande attualità, sapendoli ricondurre alla scala locale delle comunità e alla dimensione dei singoli. In uno scenario mondiale piagato dalla guerra, dalla violenza, dall’intolleranza, solleva, con precocità, temi cruciali, come quello dell’accoglienza e della condivisione. Rispetto all’esaltazione personale e al protagonismo antepone la dimensione collettiva, nella quale soltanto l’individuo può realizzarsi. Di fronte all’egoismo e al cinico perseguimento dell’interesse personale, non si stanca di esaltare la gratuità. Il suo messaggio, comunque, non suona mai come condanna, ma come invito alla speranza, a fare leva sull’amore per vincere, e non farsi schiacciare, dalle nostre fragilità.

 

La fede incrollabile nella certezza del trionfo del Bene nel superiore disegno della Provvidenza era probabilmente la sorgente di quel sorriso, straordinariamente radioso, che ha impresso un ricordo indelebile in quanti hanno avuto la gioia di incontrarlo e conoscerlo. Il 30 aprile del 2015, padre Antonio è salito al Padre, lasciando un’eredità spirituale di cui continueranno, a lungo, a maturare i frutti.

 

 


 

Il valore della prova e il sostegno della fede

 

nella mia vita sacerdotale

 

Casavatore (Na), 9 gennaio 2014 – Cenacolo dei presbiteri focolarini

 

 

 

L’esperienza personale

 

         Il mio percorso di vita è stato segnato, ad un certo punto, da una rara e improvvisa malattia auto-immune; mi sono fatto tante domande, alcune delle quali mi hanno anche destabilizzato non poco. Ho trovato, però, diverse risposte nelle parole di questo piccolo libro: Il mestiere di uomo, di Alexandre Jollien, quasi come se dopo l’evento devastante mi fosse stata data la possibilità di rilanciare la mia vita interiore, dando ulteriormente un senso cristiano al disagio per le difficoltà incontrate, alla sofferenza, alla paura del peggio. Alcune frasi del testo le ho sentite particolarmente vicine, come se parlassero di me, dandomi forza e traducendo in un linguaggio universale la condizione che stavo vivendo.

 

  1. Di fronte alla stranezza della mia condizione dovevo attrezzarmi… Mettermi in cammino: ecco quello che esige l’insostenibile precarietà del mio essere.

  2. Le avversità incontrate costituiscono così un terreno sul quale viene edificata l’esistenza. Infatti, «…tutti quelli che hanno dovuto soffrire a causa degli altri diventano spesso osservatori migliori rispetto a quelli la cui personalità si sviluppa senza questo sforzo d’attenzione» (Pierre Feyereisen, medico etologo). Chi fin dalla nascita cammina a fianco della sofferenza, affronta l’esistenza provvisto di un benefico realismo.

  3. Ho cominciato a trasformare l’onnipresente precarietà del mio stato in una sorgente, in un pungolo. La debolezza, questa fedele compagna, assumeva una nuova condizione… Insomma cercavo di assumerla…; una volta stabilita questa curiosa constatazione, poteva avere inizio la sua rischiosa conquista… nella libertà e nella gioia.

  4. Lottare contro il male e approfittare di ogni istante per progredire… Quando si acconsente a lottare con il quotidiano, si finisce inevitabilmente per spogliarsi: l’essenziale richiede una sorta di ascesi di ogni istante. Chi lotta nel quotidiano sviluppa poco alla volta la facoltà di prevenire i colpi e, spesso, si prepara al peggio.

  5. L’algodicea è innanzitutto l’esigente esperienza che la prova che mi opprime non mi annienterà. Sono tenuto a opporle una resistenza, a proseguire ad ogni costo l’esercizio della mia libertà, a non lasciarmi vincere per conservare la mia gioia come un’arma indispensabile… Che delicata prodezza per chi è colpito da una malattia o per chi attraversa la propria esistenza senza l’appoggio di nessuno. Come praticare l’algodicea, come dare senso alla sofferenza? I deboli manifestano che trarre profitto dalla sofferenza è innanzitutto approfittare, beneficiare della vita, celebrare ciò che ne costituisce il prezzo.

  6. Ci sono persone che cercano di opporre al male una risposta invidiabile… Ciò che colpisce è il loro realismo; lungi dal fuggire nell’illusione: bisogna affrontare la realtà, giorno dopo giorno, con umiltà e umorismo. La gioia, infatti, annuncia sempre che la vita l’ha spuntata, che ha conquistato terreno, che ha ottenuto una vittoria.

  7. Gran bel mestiere d’uomo: devo essere capace di combattere gioiosamente senza mai perdere di vista la mia vulnerabilità né l’estrema precarietà della mia condizione. Devo inventare ciascuno dei miei passi e, forte della mia debolezza, fare di tutto per trovare le risorse per una lotta che mi supera senza per questo annientarmi. «Gli animi valgono per quel che esigono. Valgo ciò che voglio» (Paul Valèry). La volontà tiene la rotta, dà la forza per mettere a punto nuove strategie, in breve impedisce di abdicare. Senza di lei, né battaglia né vittoria: questo è poco ma sicuro.

 

     La fede n’è uscita irrobustita; uno slogan paolino mi ha accompagnato: tutto posso in Colui che mi dà forza

(Fil 4,14),  ho vissuto così un’esperienza concreta di abbandono fiducioso nelle mani di Dio; la devozione alla Vergine Maria è cresciuta tantissimo; lo svolgimento del ministero presbiterale è stato terapeutico: ho sostenuto con grande serenità la fatica delle responsabilità, sperimentando la sovrabbondanza della grazia. Spero che la sofferenza e il disagio, offerti al Signore per i nostri seminaristi, siano motivo di una rinnovata fecondità missionaria a servizio della nostra amata Chiesa napoletana.  

 

                                                                                          Di cuore, d. Antonio Serra